21 giugno 2014

Il Nuti - prima parte.

La mia storia comincia male, galleggiando a testa all'ingiù con ancora addosso la giacchina di velluto liscio, i jeans attillati e gli immancabili stivaletti neri. Proprio come in quel vecchio film - mi sembra si chiamasse Sunset Boulevard - il protagonista muore ancora prima di poterlo conoscere. Qui però non siamo a Hollywood e invece di ondeggiare serenamente in piscina, mi trovo a sguazzare coi calzini zuppi di quella brodaglia limacciosa che riempe l'Arno in piena estate.Tutto sommato poteva anche andarmi peggio, io ho sempre amato questa città. E a pensarci bene non avrei potuto trovare abbigliamento migliore per l'occasione.
Il Nuti muore come ha sempre vissuto, galleggiando. L'unica nota dolente è questa sirena che non la smette di gridare: ero sicuro che quando uno moriva, sentisse la nona di Beethoven o roba del genere...almeno un Hallelujah di Jeff Buckley pensavo di meritarmela.


Ma bando alle ciance, mi presento: sono Italo Nuti, 28 anni, avvinazzato per vocazione e postino per necessità. Sono pochi i traguardi che ho raggiunto in questa mia breve esistenza, tra questi il più sofferto di sicuro è stata la laurea in architettura.
In estrema sintesi, della vita mi piacevano le donne, e anche parecchio. Adoravo sbirciare il sorriso che fanno dopo un bacio, spiarle la mattina quando si alzano dal letto per andare in bagno senza trucco e, soprattutto, scoprirne i suoni segreti dei loro momenti di allegria più sincera. Non prendetemi per un maniaco o chissà che...io almeno, non mi ci sono mai sentito. Diciamo che se l'amore è un'enorme labirinto pieno di porte chiuse, la mia perversione stava nello scoprire cosa si nascondeva dietro ognuna di esse anziché affannarsi a trovare quella che portava all'uscita. La curiosità sarà anche un vizio diabolico, ma credetemi, qui dove sono adesso non ci sono né fuoco né diavoli.
Credo che possiate intuire che se mi trovo a far compagnia a pantegane e pesci, c'è di mezzo una donna. Anche se donna, quando riferito a lei, suona veramente male. Non pensate alla vendetta di un'amante geloso o a un gesto disperato; la mia dipartita da questo mondo è avvenuta in circostanze tutt'altro che normali; forse è per questo che sono ancora qui a raccontarvelo.

Ma ricominciamo dall'inizio: una gelida mattina di sei mesi fa, l'8 Febbraio 2011. All'epoca, le mie giornate scorrevano bagnate e tranquille, sempre in sella al Liberty battente bandiera delle Poste Italiane, col casco slacciato e le cuffie negli orecchi. Forse vi chiederete perché un architetto debba passare le sue giornate a suonare campanelli e a riempire le cassette di lettere e opuscoli colorati. Pigrizia? Mancanza di pecunia? Passione filatelica? beh un po' di tutt'e tre, a cui però si dovrebbe aggiungere la completa assenza di ambizione e una spensierata rassegnazione a quello che il destino offre. Ovviamente, il mio sogno da piccolo non era quello di fare il portalettere, ma a dire il vero non era neppure quello di progettare villine a schiera o rivalutare vecchi edifici industriali in malora. Avevo bisogno di soldi e adoro le due ruote, credo che l'inizio della mia carriera possa essere raccontata così. Fare il postino, comunque, presentava lati positivi insospettabili.
Quella mattina in particolare consegnavo la posta in Borgo S.Frediano, nel cuore della fiorentinità più genuina. Il giro cominciava come sempre dal ponte alla Carraia, giù per il Lungarno Soderini passando poi per il Cestello e per la titanica porta delle mura, e quindi via nel dedalo di vicoli che si snodano a sud fino a Piazza Tasso; da qui continuava a est, sfiorando il Giardino Torrigiani col suo torrino, arrivando in Piazza del Carmine coi suoi sampietrini disconnessi, per finire quindi in via dei Serragli a chiudere il cerchio. Oltre le amenità architettoniche, il giro riservava altre piacevoli distrazioni dai compiti strettamente legati alla nobile arte postale. Dovevo fare visita alla sig.rina Bianchini di via dell'Orto, che aveva ricevuto l'ennesima raccomandata urgentissima; poi alla vedova Palmucci di Piazza dei Nerli, che mi aveva telefonato perché ritirassi alcune lettere che preferiva consegnare di persona invece di affidarle ad una cassetta incustodita. La vera chicca era però la cartolina autografa della figlia dell'esimio Dott. Plini, che la ragazza si era assicurata di farmi pervenire a casa, che riportava una dettagliata descrizione dell'orario di lavoro del padre assieme ad altre utili raccomandazioni. Insomma, la giornata si prometteva indubbiamente faticosa, ma la cosa non mi spaventava.
Nei due anni di lavoro ero riuscito a costruirmi una buona reputazione, nonché un discreto giro di clienti affezionate e care, che per nulla al mondo mi sarei sognato di lasciare insoddisfatte o senza posta. Abituato a girare di casa in casa, avevo imparato che con un sorriso sincero, un pizzico di simpatia e un orecchio pronto ad ascoltare chi si sente solo, trascurato o dimenticato, si finisce quasi sempre per scoprire il lato migliore delle persone...il che si misurava in caffè offerti, grappini, sigarette, cioccolata, dolci fatti in casa, avanzi dell'arrosto o del fagiano ripieno e, talvolta, in quel calore di cui tanto si sente la mancanza nelle piovose mattinate invernali. Come le lettere che non finivo mai di consegnare, anche le chiacchiere giravano di uscio in uscio, e capitava di tanto in tanto che qualche nuova utente incuriosita, volesse testare di persona la bontà del servizio di ritiro domiciliare della corrispondenza.
Silvia, che lavorava all'ufficio postale n°13, ormai non si stupiva più delle telefonate indiscrete che di quando in quando investigavano i turni di lavoro o il numero di cellulare del giovane postino, ed era solita preparare i miei faldoni delle lettere con accurata dovizia. Io in cambio la portavo al cinema di tanto in tanto, non che la cosa mi pesasse. C'era una simpatia naturale nascosta tra le sue trecce bionde e il suo sguardo appena strabico, rideva sempre alle mie battute e aveva una piccola voglia sulla coscia destra che sembrava un impronta di gatto. La confidenza tra noi due nacque quasi subito. Ma mi sto perdendo come sempre nelle chiacchiere, e la voglia di Silvia ha poco a che fare con la mia triste storia.

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